di Franco Fussi e Sara Jane Ghiotti
L’immagine empirica è stata a lungo utilizzata nella didattica del canto come ausilio pedagogico e a volte anche come modalità principale dell’insegnamento. Oggi, complici i progressi scientifici nella comprensione dei meccanismi della fisiologia del canto, l’abitudine all’uso di suggestioni immaginifiche viene usato con maggiore cautela da molti maestri specie nel costruire le basi di una solida e consapevole tecnica vocale o, quanto meno, all’interno di una maggiore preoccupazione della corrispondenza del dato empirico con la soggiacente realizzazione fisiologica da esso indotta. In altre parole, è sempre più viva la consapevolezza che le metafore vaghe e ambigue di una condotta empirica dell’insegnamento del canto sono insufficienti ad una adeguata comunicazione e resa consapevole del dato tecnico. Se infatti un maestro sa benissimo cosa significa per lui un suono “arrotondato”, tuttavia l’uso di tale termine non basta a chiarire allo studente che cosa significhi “arrotondare”, o come si “arrotonda” un suono. D’altronde, chiedere maggiore o minore spazio in qualche settore delle cavità di risonanza può produrre una ampia varietà di risultati molti dei quali non voluti, o che non corrispondono alla nozione esplicitata più semplicemente come “arrotondamento”. Nel corso dell’apprendimento tecnico, lo studente che non realizza il dettame dell’insegnante, ad esempio il citato “arrotondamento”, si sente in difficoltà proprio a causa di una modalità didattica che si avvale di una verbosità che appare vaga, ambigua e a volte illogica. Collocare il suono in fronte, in maschera, in fondo alla gola, tra gli occhi, dietro la nuca, cantare sul fiato, girare il suono, per quanto suggerimenti utili a creare suggestioni che mettono in moto comportamenti fisiologici corretti, non sono ovviamente realtà concretamente eseguibili.
Per questo, e per una formazione più matura e cosciente della tecnica vocale, i cantanti avrebbero necessità di informazioni tecniche più precise che vadano oltre il linguaggio delle immagini e si ricolleghino alla realtà di quello che succede all’interno del loro apparato fonatorio, affinchè sia reso cosciente e pianificabile il loro percorso. Le immagini metaforiche possono sicuramente avere un ruolo nella didattica, lo hanno avuto per secoli, ma hanno un loro valore soprattutto se associate ad una coscienza consolidata della funzione. Dopo che il cantante ha imparato a coordinare respirazione, attività cordale e risuonatori per i risultati specifici di una corretta emissione cantata (in base allo stile e alla categoria vocale) un’immagine può essere utile ad unificare tali funzioni. Sovrapporre anticipatamente immagini empiriche, talvolta le più disparate e contraddittorie, finisce col confondere le idee: pensando alla stessa immagine due allievi realizzano spesso emissioni diverse, altre volte nell’immaginario dei maestri un termine significa atteggiamenti fonatori o risultanze vocali opposte, altre ancora il suggerimento del maestro, che corrisponde a quello a cui lui deve pensare quando effettua una data emissione, è in contrasto con quello che effettivamente realizza.
Nonostante questo, benchè si debba essere cauti nell’uso di indicazioni empiriche basate su immagini suggestive, esse possono risultare utile complemento nell’apprendimento di concetti tecnici di base, che hanno però una base fisiologica che deve essere conosciuta se si vuole rendere più sicuro e consapevole l’uso della voce.
D’altra parte, ad un certo punto dell’insegnamento è impossibile non ricorrere all’uso di immagini, in quanto anche il più elementare modello di comportamento deve essere esplicitato e concettualizzato prima di poter essere eseguito. Ma la riuscita applicazione di un concetto preformato, e fantasioso, dipende dall’abilità di risposta, legata a sua volta alle capacità di coordinamento del sistema-voce. Questo solo dà garanzia di ritrovarsi sempre e riconoscere eventuali compensazioni che producono suoni illusoriamente corretti, perché illusoriamente accattivanti, ma che coprono in realtà deficienze tecniche.
Alcuni didatti lamentano la mancanza nella pedagogia di una terminologia standardizzata, e le immagini empiriche, insieme alle confusioni terminologiche dei vari trattati di canto, contribuiscono senza dubbio a questo problema. Non dimentichiamo comunque che anche in altri campi musicali è frequente il ricorso all’immaginario empirico per risolvere problemi tecnici.
Il contasto tra empiria e scientificità della didattica, nel canto, ha radici profonde; basta dare una occhiata alle differenze di impostazione teoretica di trattati come quelli, rispettivamente, di Francesco Lamperti e Manuel Garcia.
Ad esempio, negli antichi trattati i registri erano definiti da soli due termini: voce piena e falsetto, oppure voce di petto e di testa. Come evidenziato da Juvarra, esistevano come due punti di vista: uno (pieno/falso) che riconosceva ad ogni gruppo di toni qualità acustico-percettive innate e caratteristiche, l’altro che puntava l’attenzione sulle sensazioni vibratorie corporee (petto/testa), sensazioni su cui peraltro gli antichi non insistevano affatto nella didattica. Questo ultimo punto di vista, quando si arrivò a rigide definizioni dei registri basate su maldefinite sensazioni vibratorie, come in epoca romantica, portò al declino della didattica del Belcanto. Invece di considerare tali sensazioni come la conseguenza del corretto uso dei registri primari, esse furono considerate finalità dell’apprendimento per stabilire una corretta risposta meccanica da parte dell’apparato vocale, passando così ad indicare il termine di “testa” l’area anatomica di risonanza per la “proiezione” del suono, col fiorire di indicazioni quali “il suono avanti”, “lanciare il suono lontano”, “il suono fuori”, “lo sbadiglio”, “la vibrazione del naso”, “la vibrazione del naso”, “la vibrazione dietro i denti superiori”, “la patata bollente in bocca”, ecc. (Juvarra).
La subentrante pedagogia trovò una delle sue massime esponenti in Lilli Lehmann che descrisse nel suo trattato tutte le sensazioni corporee chinestesiche e propriocettive che la propria emissione produceva, con l’equivoco di considerarle universali e non soggettive, e fissando minuziosamente i diversi lughi anatomici muscoloscheletrici di risonanza per ogni nota dell’estensione. Da allora ogni celebrità nel campo del canto e della sua didattica ha ceduto alla tentazione di individuare nei propri “luoghi vibratori” la “tecnica” per tutti: così Whiterspoon diede importanza ai lati del naso, Caruso si focalizzò sulle gambe, Jean de Reszke nella “maschera”.
Ogni maestro di canto, nel proporre il suo metodo, tende a selezionare il materiale didattico che ha reperito nel suo bagaglio formativo quasi esclusivamente in base alla sua esperienza personale e senza altra regola oggettiva. Un maestro può enfatizzare il controllo della respirazione e il sostegno del suono come fondamento di una corretta tecnica vocale, un altro può dare più importanza alla ricerca delle posizioni “in maschera”, un altro ancora l’ancoraggio laringeo e la ricerca dello spazio faringolaringeo per la costruzione del “corpo”. I metodi a volte sembrano così lontani e differenti solo perché ognuno dà particolare importanza ad uno solo dei fattori, così che si finisce col sentir dire, o col credere, che esistono tanti metodi quanti maestri.
Le sensazioni verificabili in una corretta emissione, da memorizzare e di cui fare tesoro, non possono essere recepite finchè la voce non è correttamente usata: un effetto non può produrre la sua causa. Solo a questo punto, per quanto fantasioso che sia, potrà essere utile pensare, come ad esempio ci è capitato sentire, alla “pallina da ping pong sostenuta al centro degli occhi da quello zampillo di fontana che è il fiato”, o alla ”banconota da centomila lire tenuta stretta tra le chiappe”.
Nonostante quasi tutti dichiarino metodi scientifici di insegnamento, la didattica usa spesso immagini empiriche per superare i problemi tecnici e ingenerare la consapevolezza di una corretta emissione. I foniatri stessi devono adattarsi all’immagine nel dialogo col cantante, per comprendere, attraverso un linguaggio comune, la natura dei suoi sintomi, col compito di dare all’immaginario tecnico una giustificazione e una interpretazione fisiologica reali.
Le ragioni della secolare resistenza dell’empiria nella didattica e nel gergo comune, vanno ricercate anche nella tradizione orale e nella pratica di insegnamento di cantanti celebri a fine carriera, per una didattica basata sovente sulle loro sensazioni soggettive, quell’immaginario attraverso cui loro hanno ottenuto un corretto coordinamento pneumofonico. Questo non è necessariamente garanzia di un buon insegnamento, in quanto non implica il riconoscimento della possibile differenza tra l’immagine e la verità fisiologica. I migliori esecutori non sempre hanno avuto un apprendimento meditato dei principi pedagogici e della corretta fisiologia, né sono garanzia in quanto divi di come applicare tali principi. L’uso dell’immagine dovrebbe dunque in ogni caso essere basato sulla comprensione della realtà fisiologica della fonazione cantata, non un occasionale supporto a doti innate particolari ed irripetibili come nel caso del grande cantante.
I concetti espressi in immagini dovrebbero aiutare quindi a rinforzare un principio fisiologico, per aiutare a risolvere consapevolmente i problemi tecnici attraverso approcci non tecnici. Dire “solleva l’arcata zigomatica” invece di “metti il suono in maschera” non aiuta a forse a descrivere, con un poco più di aderenza al reale, lo stesso processo? Parlare di muscoli non complica la vita agli allievi; e sicuramente non è al muscolo cricotiroideo o tiroaritenoideo che penseranno quando canteranno, ma a non sollevare la laringe, e a “mettere il suono in gola” e “portarlo avanti”. Ma con una coscienza vera, soprattutto con una più matura autonomia di sorveglianza della propria emissione, e anche con una maggior capacità di giudizio sui loro formatori e curatori, maestri e foniatri.
I maestri dovrebbero anche determinare quale terminologia lo studente già conosce o utilizza e a cosa si riferisce nell’usarla. Se una immagine viene utilizzata per indurre una corretta coordinazione, la stessa dovrebbe essere sempre integrata con la coscienza personale del didatta (se non con la spiegazione all’allievo) di quel che realmente succede. Il suggerimento dovrebbe essere dunque un suggerimento calcolato.
A partire da queste cosiderazioni abbiamo voluto ‘saggiare’ le competenze/conoscenze fisiologiche dei cantanti in relazione ad alcuni termini tra i più frequentemente usati nella didattica del canto.
A tal scopo abbiamo selezionato venti termini che sono stati sottoposti a definizione da parte di venti persone, divise in due popolazioni statistiche, di dieci componenti ciascuno: cantanti professionisti, includendo tra essi cantanti diplomati o studenti di canto (moderno o lirico) da oltre tre anni, e cantanti non professionisti, ovvero coloro che studiano canto da meno di tre anni o autodidatti.
I termini erano, nell’ordine:
Emissione in maschera
Voce di petto
Voce di testa
Registro
Passaggio di registro
Suono coperto
Affondo
Appoggio
Sostegno
Falsetto
Voce mista
Voce piena
Corde vocali
Cavità di risonanza
Punta
Proiezione
Cavità
Vibrato
Tessitura
Estensione
Sulla base delle risposte fornite abbiamo cercato di suggerire elementi utili ai fini di un counseling cognitivo del ruolo della fisiologia nella tecnica vocale e indicazioni logopediche per un approccio ri-abilitativo verso quel cantante-paziente che mostri lacune tecniche in riferimento ai concetti considerati. Ciò potrà fornire soluzioni più consapevoli alle prersonali carenze, per una conoscenza più oggettiva e competente della fisiologia soggiacente all’aspetto tecnico incompetente.
Il questionario è stato somministrato, senza limiti temporali, in forma scritta.
Abbiamo successivamente comparato le varie risposte fornite dai due diversi gruppi intervistati, ovvero i “professionisti” ed i “non professionisti”, andando a evidenziare quelle più frequenti, gli errori più comuni, e cercando di dare ragione delle affermazioni più strane e fantasiose. Analizziamole:
Emissione in maschera
La maggior parte dei cantanti professionisti ha individuato la sensazione di suono in maschera più o meno nella zona che va dagli occhi/zigomi al labbro superiore, ma alcuni l’hanno assimilata ad un concetto di reale risonanza facciale. E’ da ribadire perciò che il concetto di maschera è più legato alla percezione vibratoria che si percepisce durante l’emissione di un suono ‘impostato e proiettato’, a livello del tessuto osseo e dei tessuti molli sovrastanti i distretti che, per l’appunto corrispondono al contorno occhi, agli zigomi fino al labbro superiore.
Meno chiarezza è invece presente fra i cantanti non professionisti, soltanto uno sa dare una definizione e localizzazione sufficientemente corretta. Perlopiù essi attribuiscono al termine un fenomeno di risonanza, ed in particolare di utilizzo dei risuonatori superiori, come i seni paranasali o le fosse nasali; due soggetti interpretano la maschera come una modificazione della mimica del volto per facilitare l’impostazione della voce; uno confonde tra loro i termini di “maschera” e “punta”; altri due non sanno dare una definizione.
Nel cantante, le esperienze di corretta proiezione e rinforzo armonico del suono (specie su frequenze armoniche elevate, con percezione di “brillantezza” e “smalto” nel timbro della voce) fanno leva su sensazioni percettive nel massiccio facciale (come anche nella nuca).La cosiddetta “maschera” corrisponde alla parte del viso dove si indossano tradizionalmente le mascherine del carnevale, e viene didatticamente indicata come localizzazione delle sensazioni vibratorie muscoloscheletriche prodotte da un suono ben impostato e proiettato attraverso la conduzione ossea. Benchè quella di “voce in maschera” sia una locuzione molto usata, è necessario evitare di equivocare tale ideale di percezione vibratoria, o consonanza, considerandolo una reale risonanza fisico-acustica oppure coinvolgendo, erroneamente da un punto di vista estetico, la cavità nasale nell’amplificazione del suono. Mettere un suono in maschera non significa far ‘giungere’ il suono da alcuna parte, tanto meno ‘alla radice del naso’.
Voce di petto
Ben quattro dei cantanti professionisti definiscono (correttamente) la voce di petto come emissione, caratteristica delle tonalità medio gravi, contraddistinta da sensazioni vibratorie a livello della gabbia toracica. Durante tale tipo di emissione, infatti, il muscolo vocale accorcia la corda aumentandone la massa, favorendo l’insorgenza di vibrazioni scheletriche dirette verso il torace.
Tre di loro parlano, erroneamente, di risonanza a livello della cassa toracica: ciò non è in realtà possibile per definizione stessa di risonanza, fenomeno che si verifica nelle cavità che si trovano al di sopra della sorgente stessa del suono. Uno di loro parla addirittura di voce che risuona nella cavità orale, un altro utilizza il termine per riferirsi esclusivamente ad un range tonale medio- grave. Uno, invece, la utilizza come sinonimo di voce parlata.
Per quanto riguarda invece i cantanti non professionisti, soltanto uno di loro parla di vibrazione percepita a livello del petto, rispondendo correttamente. Quattro di loro parlano di risonanza a livello della gabbia toracica, commettendo lo stesso errore dei colleghi professionisti. Due soggetti lo considerano un suono scorretto, che non utilizza le cavità di risonanza né la posizione della maschera. In realtà, un suono emesso con voce di petto può esser correttamente impostato “avanti”, in maschera. Altri due intervistati invece si riferiscono ad un’emissione caratterizzata da un’elevata intensità.
Voce di testa
In riferimento al termine “voce di testa” le cose non sono molto chiare, neppure per i cantanti professionisti: solamente due intervistati parlano di emissioni, per le tonalità acute, caratterizzate da consonanza in testa, cioè vibrazioni percepibili nella scatola cranica (infatti, nel corso di un’emissione su toni ascendenti ad intervalli regolari, entra gradualmente in attività il muscolo cricotiroideo. Esso assottiglia la corda, pertanto le sensazioni vibratorie soggettive si dirigono verso il cranio). Tre soggetti continuano a parlare di risonanza, anziché di consonanza, a livello delle cavità alte del cranio, come ad esempio i seni frontali. Altri cinque non rispondono in quanto non sanno distinguere il termine voce di testa da falsetto.
E’ opportuno quindi spiegare ai soggetti che, mentre il falsetto è un registro primario della voce, come lo è anche la “voce piena”, la “voce di testa” e la “voce di petto” sono invece termini utilizzati in riferimento alle particolari sensazioni vibratorie percepibili durante l’emissione della voce in registro pieno. Di fatto i termini voce piena e falsetto si riferiscono ad eventi puramente laringei, essendo caratterizzati da un diverso meccanismo di vibrazione cordale. Invece i termini “voce di testa” e “voce di petto” si riferiscono a sensazioni avvertite in distretti extralaringei.
Fra i non professionisti, due rispondono correttamente: per tre di loro il termine indica l’utilizzo generico dei risuonatori, e uno di loro confonde la voce di testa con il concetto di maschera (in realtà l’utilizzo della maschera è conseguente al fenomeno della proiezione vocale), che è presente anche per i suoni emessi con voce di petto. Due non sanno rispondere.
Registro
Per tre dei cantanti professionisti, il registro è un insieme di suoni omogenei per modalità fonatoria: questi individuano la corretta accezione del termine da un punto di vista esclusivamente vocale. Sono invece quattro i cantanti che ne danno una spiegazione in termini più “musicali”, definendo appunto i registri come gruppo di appartenenza di una voce (categoria vocale); una di loro definisce il termine con entrambe queste soluzioni, mentre un altro intervistato vuole considerarlo come insieme di frequenze. Vorrei poi sottolineare il fatto che un soggetto, peraltro insegnante di canto lirico, non ha saputo rispondere: ciò può essere spiegato dalla concezione della scuola classica, che nega l’esistenza dei registri, a favore di un’ idea di emissione “unica” ed omogenea attraverso tutta la gamma di note che sono prodotte dal cantante.
Nessuno dei cantanti non professionisti. parla di registro in termini di insieme di suoni emessi con lo stesso meccanismo laringeo: tre di loro non sanno definirlo, e riconoscono fra i registri la voce di petto e di testa (che sono invece fenomeni di consonanza); due soggetti parlano di insieme di note, il che è corretto ma incompleto. Due cantanti non professionisti utilizzano tale termine per indicare particolari caratteristiche timbriche e di estensione delle voci, che possono così essere classificate in soprano, mezzosoprano, contralto, tenore, baritono e basso. Uno di essi lo utilizza come sinonimo di estensione, mentre altri due non sanno rispondere. Per una più estesa disanima del concetto di ‘registro vocale’ rimandiamo al I volume di questa collana ‘La voce del cantante’.
Passaggio di registro
La maggior parte dei cantanti professionisti, in particolare i cantanti lirici, ha affermato che il passaggio di registro non è ben definibile, perché affrontato in maniera graduale attraverso modificazioni posturali del vocal tract, in modo da rendere tale evento pressoché impercettibile, tant’è che taluni ne negano persino l’esistenza. Infatti, la finalità prima dello studio del canto in senso classico è proprio l’omogeneizzazione dei suoni emessi dal cantante, che rende inavvertibile il punto di passaggio. Altri invece, soprattutto i cantanti di musica moderna o jazz, sono coscienti dell’esistenza di un punto di passaggio di registro, che appunto definiscono come zona in cui si passa da un registro all’altro, al di là del fatto che poi vengano messi in atto o meno i meccanismi di copertura, responsabili del cosiddetto “registro unico”.
La maggioranza dei cantanti non professionisti, invece, intende per passaggio di registro il punto in cui si passa dall’utilizzo della voce di petto a quello della voce di testa. Questa è la ovvia conseguenza del fraintendimento evidenziato per la voce ‘registri vocali’. Solamente due persone intuiscono che il passaggio di registro riguarda il punto oltre cui l’emissione di voce piena non può essere esteso senza opportune modifiche del vocal tract (copertura) e controllo della laringe, pena la prosecuzione in voce ‘gridata’ o in registro di falsetto. C’è chi invece considera il passaggio di registro come punto in cui viene cambiato risuonatore, prediligendone uno rispetto ad un altro in base all’altezza tonale del suono da emettere, avvicinandosi all’idea delle modifiche da generare nel vocal tract per effettuare il passaggio, ma non cogliendone con completezza il significato.
Suono coperto
La maggior parte dei cantanti professionisti ha ben chiaro sia il meccanismo di copertura, basato su modificazioni delle componenti mobili del vocal tract (quali l’abbassamento della lingua, l’innalzamento del palato, l’abbassamento della mandibola), sia l’effetto che questo ha sul risultato finale dell’emissione vocale, che assume connotazioni di rotondità, morbidezza e facilità di emissione. Due intervistati parlano di voce intubata nel caso in cui tale tecnica sia esagerata. Solamente due di loro non rispondono.
Per otto dei cantanti non professionisti invece il termine è del tutto sconosciuto. Solamente due soggetti riconoscono che per produrre un suono coperto il vocal tract va modificato, però sanno citare fra le modifiche soltanto l’innalzamento del palato molle. Riconoscono invece un iscurimento del colore della voce, ma non conoscono il vero scopo del fenomeno di copertura, a garantire un’omogeneità di emissione salendo la gamma tonale.
Va dunque consapevolizzato come la tecnica di ‘copertura’ del suono sia una tecnica per affrontare il passaggio di registro agli acuti abitualmente riferita al canto lirico, ma propria anche di altri generi vocali. Percettivamente un suono “coperto” dà la sensazione di un’emissione morbida e rotonda, con armonici focalizzati e non dispersi, le vocali sono foneticamente sempre “chiuse”, arrotondate, il timbro comprende sia le componenti di ‘portanza’ del suono (sensazione di peso vocale) che di ‘proiezione’ (sensazione di “squillo”) e direzione (suono “in maschera”). Tale modalità di emissione rende omogenei il colore e l’intensità della voce dai toni centrali ai toni acuti nel passaggio tra registro pieno in consonanza di petto al registro pieno in consonanza di testa. Fisiologicamente la tecnica della copertura dei suoni prevede appiattimento della base linguale senza arretramento, abbassamento della laringe, verticalizzazione dell’epiglottide, innalzamento del palato molle (con tensione e medializzazione dei pilastri palatini).
Un suono coperto è dunque una qualità della voce, prodotta con epiglottide innalzata, mantenimento della posizione neutra della laringe nel collo e basculamento della cartilagine tiroide sulla cricoide, realizzazione di ampio spazio faringeo e vestibolare laringeo, lingua piatta, innalzamento del velo del palato, atteggiamenti tipici del passaggio dai toni centrali a quelli acuti nel canto lirico. E’ caratterizzato percettivamente da arrotondamento vocalico e colore scuro e morbido, con sensazione di corposità timbrica. Spettrograficamente il canto coperto dà luogo ad una maggiore concentrazione dell’energia acustica nella ‘formante di canto’, che mostra anche un centro di frequenza più grave, senza dispersione armonica come nelle emissioni aperte, e un rinforzo della struttura armonica tra 0-2000 Hz. In definitiva il suono coperto è caratterizzato da una emissione di maggior risonanza con percezione di minor sforzo, denotando un uso più efficiente ed economico della spesa muscolare a vantaggio della portanza e qualità vocale. Le necessità di copertura ed il suo grado dipendono dalla categoria, dai sottotipi vocali e dalla qualità timbrica ricercata durante l’emissione. Insieme al timbro aperto era considerato un registro ‘secondario’, in quanto le modificazioni del ‘colore’ vocale si ritenevano in essi appannaggio esclusivo delle cavità di risonanza e non dovute alle attività delle corde vocali, generatrici invece dei cosiddetti ‘registri primari’. In realtà, studi recenti hanno messo in evidenza come tra canto coperto e aperto è presente un diverso rapporto di attività tra muscolo tiroaritenoideo e cricotiroideo.
Affondo
Nella definizione di affondo, ben sei cantanti professionisti dicono trattarsi di un abbassamento della laringe, caratterizzata da un’emissione sonora più scura, in quanto il suono si arricchisce delle componenti armoniche basse. Ben tre intervistati fanno notare che bisogna fare attenzione a non perdere la posizione della maschera durante quello che è anche definito “scavo”, altrimenti risulterebbe prodotto un suono spoggiato. Due soggetti considerano il termine come sinonimo di appoggio, quindi riferito all’attività diaframmatica e della parete addominale. Uno riferisce il significato del termine ad un “affondare di tonalità”, cioè allo scendere verso la propria emissione più grave. Soltanto uno di loro non ha saputo rispondere.
Ben nove su dieci cantanti non professionisti non hanno risposto, ma l’unico che ha tentato una definizione ha parlato di attività del diaframma e della parete addominale durante l’emissione delle note più acute.
L’affondo è una tecnica che, attraverso un importante abbassamento della laringe (da non confondere con la “tecnica dello sbadiglio”), ampliamento dello spazio faringeo e arrotondamento e ipertonia delle labbra, realizza un allungamento/ampliamento dello spazio di risonanza, riducendo le caratteristiche di brillantezza di una voce ed accentuandone il timbro scuro e la portanza.
L’uso predominante, in questa tecnica, di vocali articolate posteriormente e la ricerca di sensazioni faringee di profondità (invece che “in maschera”) può rischiare di indurre, durante il canto, quando estremizzato, una tendenza ad atteggiare tutte le vocali ad una /u/, e una certa fissità di posizione dei risuonatori con difficoltà nel settore acuto, a volte calante, pesante e con ampio vibrato.
A volte l’”affondo” viene utilizzato dalle voci intermedie, ad esempio mezzosoprani, per accentuare il timbro scuro della voce piena di petto ed esacerbare la portata vocale, a scapito tuttavia dell’omogeneità timbrica lungo l’estensione. Il termine sottolinea dunque le sensazioni soggettive di ampiezza e profondità della cavità faringea nella ricerca di sonorità piene e corpose, operata attraverso un’ideale “compressione” progressiva del fiato nel salire al registro acuto per accentuare le “risonanze di petto”, ma che, isolata dalla realizzazione di una adeguata proiezione vocale (il punto focale di risonanza sentito nella “maschera”), può generare la sopracitata disomogeneità tra i registri e l’emissione di vocali uniformemente cupe.
Appoggio (volutamente non specificato, ma maggiormente inteso come “appoggio respiratorio”, diverso da “suono appoggiato”)
In generale, fra i cantanti professionisti, non esiste confusione sul termine: tutti si riferiscono ad un’ attività del diaframma e tutti lo riconoscono come elemento essenziale per dare una pressione costante alla colonna d’aria che incontrerà le corde vocali le quali, messe in vibrazione, tramuteranno il flusso aereo in suono. L’immagine più corretta utilizzata da taluni è la distensione del diaframma, che racchiude in sé entrambi i concetti di abbassamento ed allargamento del diaframma (alcuni parlano infatti solo di abbassamento). Un cantante parla di appoggio in termini di posizione del suono avanti, mentre una intervistata considera erroneamente l’appoggio un’attività deputata alla parete addominale.
Anche per quanto riguarda i cantanti non professionisti, c’è chiarezza sul concetto di appoggio, ben definito per lo più come abbassamento del diaframma. Esso è però esplicato con l’equivoca immagine di “pancia in fuori”. Solamente due di loro non sanno spiegarlo. Uno solo di loro disconosce totalmente il termine confondendolo con l’attacco di sotto/di sopra.
In realtà:
1) “Appoggiare il diaframma” è termine per indicare la necessità del mantenimento di un controllo sul muscolo diaframma, al termine della fase inspiratoria e durante l’emissione vocale, per impedirne una risalita intempestiva e non congrua alle finalità di controllo della pressione aerea esercitata sotto le corde vocali durante il corso della frase musicale. L’appoggio respiratorio è dunque quella componente del controllo espiratorio attraverso la quale il soggetto, mantenendo la contrazione degli intercostali esterni e del dentato posteriore superiore, rallenta la risalita del diaframma. Esso va a ripercuotersi nell’economia e nel controllo del grado di pressione sottoglottica esercitata prevalentemente nella prima fase dell’espirazione.
2) “Appoggiare la voce” ed “appoggiare i suoni” sono termini della didattica del canto che sottolineano metaforicamente lo sviluppo di una corretta composizione armonica dello spettro vocale secondo i codici estetici del canto lirico. Essi consistono essenzialmente nell’equilibrare l’addensamento armonico di bassa frequenza con il rinforzo, senza dispersioni, di alcune armoniche (in particolare intorno alla frequenza della nota fondamentale e nell’ambito armonico tra i 2500-3500 Hz) che rendono il suono rotondo, ricco, focalizzato, facilmente udibile, privo di sensazioni di fissità o fatica fonatoria. Tale terminologia è suggestiva della ideale e immaginaria localizzazione del suono in alcuni punti della cavità orofaringea e dello scheletro facciale, presi come riferimento per la memorizzazione degli atteggiamenti favorenti una corretta emissione.
Sostegno
Fra i cantanti professionisti è abbastanza chiaro anche il concetto di sostegno: innanzi tutto si riconosce che esso è l’attività che permette di controllare la risalita del diaframma, e quindi di mantenere costante la pressione della colonna d’aria, soprattutto, come specificano alcuni, alla fine di una frase musicale. Alcuni completano maggiormente la definizione asserendo che tale attività è compiuta dalla parete addominale. Soltanto due di loro parlano di “nota sostenuta”, riferendosi alla capacità di mantenere il suono “in posizione” durante un’emissione prolungata.
Fra i non professionisti, invece, due soggetti riconoscono che il sostegno è una conseguenza diretta dell’appoggio, o comunque non riescono a svincolare l’uno dall’altro. Altri due ne parlano in termini di qualità dell’emissione nel tempo (“nota sostenuta”). Ancora due asseriscono che il sostegno è un’attività del diaframma. Uno interpreta il sostegno come un aumento in termini qualitativi del flusso espiratorio: in realtà la pressione è mantenuta costante. Solamente due intervistati non sanno rispondere.
Ricordiamo dunque, fisiologicamente, che il sostegno respiratorio è quella componente del controllo espiratorio attraverso la quale il soggetto, esercitando una contrazione della muscolatura di parete addominale (prevalentemente a carico degli obliqui), arriva a produrre un aumento di pressione intraddominale che facilita la risalita del diaframma. Esso va a ripercuotersi in un aumento della capacità di regolazione della pressione sottoglottica in tutti i momenti della espirazione, e in prevalenza al termine.
Falsetto
Cinque cantanti professionisti su dieci rispondono che l’emissione di falsetto è caratterizzata da una emissione leggera e timbrata, utilizzata per toni acuti. Una cantante ne specifica anche il meccanismo fonatorio, segnalando che in esso vibra soltanto il margine libero delle corde vocali; un altro lo considera il meccanismo contrario alla voce piena. Solamente due persone confondono voce di testa e falsetto, mentre tre sostengono che il falsetto sia un meccanismo fonatorio esclusivo dei cantanti di sesso maschile. Infine, una di loro crede che il registro di falsetto venga prodotto dalle false corde, e una cantante lirica lo considera un meccanismo di protezione laringeo che viene innescato al momento del passaggio di registro.
Fra i non professionisti, il falsetto è per lo più descritto come un’emissione di voce leggera, cristallina e “con aria”, caratteristica dei suoni acuti, non piena. Portano spesso come esempio il cantante del gruppo degli anni ’70 “Bee Gees”. Qualcuno dice che in tale registro le corde vocali vibrano diversamente: le corde sono quasi ferme. Nonostante ci sia chi fa notare che spesso questo vocabolo è confuso col termine “voce di testa”, ci sono poi ben quattro persone a sostenere nelle loro risposte che essi sono sinonimi.
Il falsetto è una delle possibilità di emissione degli acuti dell’estensione vocale, e rappresenta insieme al ‘registro pieno’ uno dei registri laringei primari. In tale modalità d’emissione vocale la prevalenza d’azione del muscolo cricotiroideo e l’elevazione della laringe ‘irrigidiscono’ e allungano le corde vocali, le quali entrano in vibrazione solo sul loro bordo libero, con un tempo di contatto che è inferiore al 40% dell’intero ciclo vibratorio, e con scarsa ampiezza e propagazione dell’onda mucosa. Il timbro vocale risulta allora povero di armoniche, debole di intensità e spesso correlato a sensazione percettiva di “fissità”. Per quanto concerne una sua collocazione artistica, il registro di falsetto viene utilizzato dai tenori primi di cori polifonici per eseguire brani con tessitura molto elevata, dai cantanti di yodeling tirolese (con atteggiamento vocale caratterizzato da continui e repentini passaggi tra registro modale e falsetto), di country music o di repertori folcloristici in genere, dai cosiddetti ventriloqui per ottenere effetti comici e caricaturali, da alcuni tenori leggeri ad impostazione lirica per emettere note acute in “pianissimo” che risultano di difficile esecuzione in registro pieno e dai falsettisti nel repertorio rinascimentale e barocco.
Chi canta in falsetto in maniera incolta, con voce velata, mostra un triangolo d’insufficienza glottica adduttoria posteriore, per inattività dei muscoli interaritenoidei. Il falsetto è velato e debole. Se il cantante attiva invece soprattutto gli interaritenoidei chiude il triangolo e la sua voce risulta più chiara e pulita. Nel falsetto incolto, da un punto di vista laringostroboscopico, si nota un allungamento delle corde vocali per innalzamento laringeo con aumento della tensione longitudinale delle corde vocali, diminuzione del tempo di contatto glottico e riduzione dell’onda mucosa al bordo libero, ed inoltre conseguente riduzione dell’ampiezza e delle cavità di risonanza.
Voce mista
Riguardo al termine “voce mista”, la maggior parte dei cantanti professionisti, ed in particolare i canatanti lirici, ha riferito che essa è una particolare emissione, utilizzata in particolare in prossimità del punto di passaggio, che utilizza, “mescolandole” assieme, le caratteristiche della voce di petto e di testa. Pensano dunque correttamente al ruolo del vocal tract.. Due persone la considerano invece come l’alternanza, durante l’esecuzione di un brano, della voce di petto e quella di testa. Solamente due soggetti non hanno risposto.
Fra i cantanti non professionisti, la risposta più comune è stata di un suono, caratteristico delle note di passaggio, che miscela assieme le due timbriche, in modo da rendere tutti i suoni omogenei, fore confondendo voce mista con registro medio. Solamente due di loro la credono un’alternanza dell’emissione in voce di petto e poi di testa. Ben quattro persone non sanno rispondere, ed una invece la definisce come una voce che non sa utilizzare i risuonatori, e così rimane “una via di mezzo”, mista appunto.
Il registro medio, o misto, ha qualità percettive intermedie tra il registro di falsetto e quello pieno, dato da un più fine equilibrio di azione muscolare tra i muscoli tensori delle corde vocali. Come avviene per gli strumenti ad arco, dove altezze tonali identiche possono essere eseguite su differenti corde dello strumento, un certo numero di note dell’estensione vocale possono essere emesse con stati di allungamento e tensione diversi delle corde vocali. Le corde vocali possono essere messe in tensione in vari modi:
o per azione del solo gruppo cricotiroideo che le allunga e tende (a produrre il falsetto puro);
oppure solo per azione del muscolo vocale, che le accorcia e ne aumenta la massa, (a produrre la “voce di petto”);
– o per gradi variamente combinati tra questi due estremi, per azione coordinata di entrambe i sistemi muscolari (voce piena, in vario grado).
Nei primi due casi il range tonale, cioè la serie o l’ambito di note eseguibili, sarà limitato dai limiti imposti dall’azione dell’unico sistema muscolare in gioco: o l’emissione flebile e scarsamente variabile in dinamiche del falsetto puro, o la voce affossata del petto puro. Mentre l’amalgama dei due fattori muscolari integrati dà ragione delle infinite sfumature che ci fanno parlare, in qualsiasi ambito di estensione, di registro pieno, medio (a volte detto anche misto), leggero. Ciò rende evidente come non siano di per sé i limiti dell’ambito tonale a circoscrivere l’uso di un registro, ma sia anzi proprio la prevalenza di una attività muscolare sull’altra a imporre eventuali limiti di estensione. Soprattutto quando essa trascra il bilanciamento con la controparte, a volte per limiti tecnici, a volte per scelta stilistica o di repertorio. Un registro perciò non è esclusivamente collegato all’altezza tonale, ad un ambito di note dell’estensione, non è una serie contigua di altezze, ma è una qualità timbrica, data dalla prevalenza d’azione di uno dei due gruppi muscolari tensori o dal loro equilibrio.
Sappiamo inoltre che l’intensità vocale è il grado di energia acustica contenuta in un’onda sonora: la sua influenza sui registri, nel canto artistico, è data dal fatto che la pressione esercitata per aumentare il volume implica una modifica nella gestione e nel rapporto dei sistemi muscolari laringei per mantenere la corretta intonazione; lo stesso risultato di intonazione può tuttavia essere realizzato con differenti combinazioni di tensione e pressione esercitate, quindi con registri o qualità timbriche diverse. Da qui tutta la gamma di differenti risultati acustici possibili. La relazione tra registri e intensità è più evidente quando l’attenzione viene focalizzata sui passaggi: una delle maggiori evidenze di sbilanciamento nell’impostazione è che discendendo in falsetto (o anche in “voce di testa”) verso note gravi, cioè verso il dominio delle note che si canterebbero a voce piena o di petto, l’intensità vocale si indebolisce; dall’altro lato, ascendendo con ‘voce di petto’ verso il passaggio agli acuti, i toni divengono più intensi ma faticosi e ‘spinti’ man mano che si sale. Le procedure necessarie a riconciliare tali discrepanze dipendono largamente dalla regolazione in intensità tra le due modalità di affronto di questa zona tonale intermedia: così il grado di azione del meccanismo di petto deve essere abbassato se si vuole che i due meccanismi si fondano in una unità funzionale evitando l’appesantimento dell’emissione e l’incapacità a gestire le nuances dinamiche. E parimenti si dovrà integrare alla ‘voce di testa’ un po’ di ‘petto’ per dare sostanza e rotondità alle note gravi. Ciò non solo combinerà i due registri, ma avvicinerà e amalgamerà le loro qualità caratteristiche. Ovviamente il grado di “alleggerimento” del “meccanismo di petto” dipenderà dal repertorio e dalla tipologia vocale del cantante, oscillando tra una voce più piena (alleggerimento minore) ed emissioni che più facilmente saranno definite come registro medio (alleggerimento maggiore).
Nell’ambito tonale centrale l’intensità può dunque essere vista come catalizzatore dominante rispetto alla frequenza, poiché un cambiamento di livello di intensità determinerà un brusco cambiamento da un meccanismo di registrazione al suo opposto, a volte con scarti improvvisi facilmente riconoscibili all’ascolto, che danno la sensazione del non perfetto governo dell’emissione, ad esempio con difficoltà nel passare indistintamente su una nota tenuta da un suono pieno a un suono più leggero. Solo quando i registri sono integrati e precisamente bilanciati, la voce è omogenea e l’influenza del fattore intensità tende ad essere oscurata dall’abilità tecnica dell’artista.
Dice Vennard che tra il concetto idealistico di un solo registro o meglio nessun registro e il concetto realistico di tre registri vi è una ipotesi fisiologica semplificatoria che parla di due registri per spiegare le varie modalità di emissione vocale e come esse si combinino in una voce: grossolanamente ogni voce può considerarsi con un potenziale di due ottave di “meccanismo leggero” e due di “meccanismo pesante” che si sovrappongono per una ottava, cioè quell’ottava può essere cantata in entrambe i modi o combinando le migliori proprietà di entrambe i meccanismi dando luogo alla voce mista o registro medio.
Molti allievi all’inizio tendono a cantare tutto leggero o tutto pesante (spesso come effetto di un lavoro didattico incentrato solo sulla ricerca della “maschera” o viceversa solo sulla “cavità”): essi devono essere portati, specie ascendendo agli acuti, a usare quel “registro medio” che è una miscela di qualità sia leggere che pesanti, e che permette il corretto affronto delle mezze voci e del saper cantar piano senza perdere la focalità dell’emissione, “spoggiare” o costringere i suoni sbiancandoli.
Voce piena
I cantanti professionisti descrivono la voce piena con parole come “suono corposo, potente e rotondo”, risultante da un equilibrio di tutti gli organi dell’apparato pneumofonorisonanziale. La voce è alle sue massime capacità timbriche ed espressive.
Vi sono tutta via alcune risposte “dubbie”: per esempio c’è chi lo usa come termine opposto ad afono, oppure chi sostiene che essa corrisponda al concetto di “voce parlata”, o ancora chi non risponde. Nessuno però lo definisce come registro antitetico a quello di falsetto.
I cantanti non professionisti vedono nella voce piena una particolare emissione di voce, naturale e di buona intensità e colore. Viene giustamente percepita come emissione diversa e opposta al falsetto. Però si pensa in genere che una voce piena sia definita tale in quanto caratterizzata da un’elevata intensità. Soltanto un cantante non sa rispondere. Per un approfondimento si veda il capitolo sui registri vocali nel volume I di questa collana.
Corde vocali
Stupisce alquanto il disconoscimento, da parte dei cantanti professionisti, ed un po’ meno da parte dei non professionisti, della reale natura delle corde vocali. La metà non riesce a descriverne né la costituzione, né il meccanismo d’azione. Un’altra metà ne individua la natura come muscolare o cartilaginea.
Risulta molto importante, a livello di riabilitazione, chiarirne pertanto i meccanismi d’azione, esaminando assieme al paziente le sue registrazioni laringostroboscopiche, spiegando loro l’ anatomo-fisiologia e la funzionalità delle pliche vocali, ed il loro ruolo sul suono risultante: tempo di contatto dei bordi, andamento dell’onda mucosa, comportamento delle false corde, fase respiratoria/fase fonatoria, …
Tutto ciò è utile nel lavoro riabilitativo quando si useranno esercizi di emissione vocale, che rischierebbero altrimenti di essere assorbiti acriticamente come esercizi “magici” per curare le corde vocali, invece che come mezzo per ottenere controllo e coscienza delle stesse. Si può chiedere ad esempio, cosa pensa stia “succedendo” alle corde durante ogni tipo di emissione, ovvero individuare una corrispondenza anatomo- fisiologica tra suono emesso e strutture coinvolte.
Cavità di risonanza
Nei cantanti professionisti, il concetto di cavità di risonanza risente da un lato delle personali sensazioni propriocettive di consonanza vibratoria in tutto il corpo, dall’altra delle indicazioni didattiche che marcano l’attenzione soprattutto sull’immaginaria posizione del suono sul palato: succede così che siano identificate come ‘cavità’ in senso lato tutte le strutture del corpo o, al contrario, solamente il palato. In generale, comunque, vi è una buona intuizione sul ruolo del vocal tract nel rinforzo armonico.
In genere i cantanti non professionisti considerano le cavità di risonanza come strutture che servono per amplificare i suoni (solamente uno parla di arricchimento “timbrico” del suono in tali distretti). Quelli maggiormente citati sono i seni paranasali, la cavità orale e le fosse nasali.
In realtà, la fisiologia identifica come cavità di risonanza ogni cavità o l’insieme delle cavità incontrate dalla colonna aerea sonorizzata dalla vibrazione delle corde vocali, situate tra la faccia superiore delle corde vocali alle labbra. Nel suo percorso dalla faringe alle labbra l’onda sonora prodotta dalla vibrazione delle corde vocali incontra cavità poste in serie o in parallelo, nelle quali il transito è obbligato o facoltativo (ad esempio il passaggio alle cavità nasali è escludibile o meno per l’azione di sollevamento o abbassamento del velo del palato).
Il suono laringeo viene così amplificato e arricchito di armoniche ad opera dei risuonatori attraversati e giunge all’ambiente con caratteristiche acustiche strettamente dipendenti dall’atteggiamento funzionale adottato dalle cavità oltre che dalla loro struttura anatomica. Dalle caratteristiche anatomiche e morfologiche invariabili derivano infatti alcune delle varianti timbriche individuali, sulle quali si fonda il riconoscimento del parlatore, mentre dalle loro modificazioni dipendono le variazioni timbriche volontarie (qualità estetiche, imitazioni, contraffazioni vocali).
E’ da sottolineare come vere cavità di risonanza debbano essere considerate solo quelle poste tra sorgente sonora e ambiente esterno, a comporre il cosiddetto “tratto vocale”. Non è pensabile, per la definizione stessa di risuonatore, che una cavità che si trovi prima del punto di origine della frequenza fondamentale possa in qualche modo risuonare, in quanto tale cavità non potrebbe mai venire attraversata da un’onda sonora (e non avrebbe nulla perciò da amplificare). Dall’alveolo alle corde vocali la corrente respiratoria non è vibrante, cioè è muta, insonorizzata, e le via aeree (bronchiali, tracheali, ipolaringee) non sono risuonatori. E’ fisiologicamente improprio, ancorchè didatticamente utile per i correlati propriocettivi a cui fa riferimento il cantante durante l’emissione di un suono, parlare di risuonatori toracici, della base del cranio o del massiccio facciale.
Le sensazioni vibratorie che in alcune emissioni vocali si localizzano in queste regioni non sono dovute a fenomeni di risonanza ma a fenomeni relativi alla trasmissione dei suono nei tessuti costituenti. Il torace, il petto o altre parti del corpo non risuonano, ma “consuonano”, cioè non amplificano il suono ma ne trasmettono solo le vibrazioni in qualità di corpi solidi.
Le cavità di risonanza esercitano la loro influenza sul colore o timbro della voce, sull’intensità globale risultante del suono emesso, insieme alla pressione aerea sottoglottica, sull’udibilità della voce tramite concentrazione di energia acustica su alcuni gruppi di armoniche (formanti), e sul piano strettamente articolatorio fonetico.
Punta
Il concetto di ‘punta’ viene spesso riferito, dai cantanti professionali, ai tono acuti. Viene quindi meno correlato, come invece avviene per il concetto di cavità, a fenomeni di risonanza. Ciò avviene soprattutto per i cantanti moderni, dove l’equilibrio delle componenti armoniche è pedagogicamente meno curato, ma anche dove tale terminolgia didattica è meno frequentemente utilizzata.
Il termine ‘punta’ appare praticamente sconosciuto ai cantanti non professionisti, tanto che sette di loro non sanno rispondere. Uno solo, prova a rispondere in base alle sue percezioni, e descrive la punta proprio in termini di direzione della voce come se essa fosse appunto concentrata in un solo luogo (il focus vocale) in modo da ottenere un’emissione particolarmente ‘pungente’. Uno di loro utilizza tale termine per riferirsi alla ‘vetta’ della propria estensione.
Proiezione
Il concetto di proiezione è piuttosto ben espresso dai cantanti professionisti nella consapevolezza che essa costituisce il risultato di una buona emissione e di una corretta conduzione degli equilibri pneumofonorisonanziali.
Resta da capire quanto un’ iniziale indicazione didattica di questo tipo non finisca col generare nell’allievo neofita lo sforzo di raggiungere l’uditorio o rendersi udibile a distanza, assumendo perciò atteggiamenti ipercinetici (“proietta avanti il suono”).
Va dunque ulteriormente ribadito in fase riabilitativa come la proiezione rappresenti la naturale conseguenza di una corretta gestione delle cavità di risonanza, perché il suono in se stesso ‘va avanti’ e non è proiettato da nessuna parte. Tutte le volte che i cantanti intervistati non conoscono i risvolti fisiologici legati alla terminologia, forniscono definizioni estetiche e visionarie al limite dell’esoterico (es.: “armonici che corrono fuori per ritornare dentro”, “la proiezione è la personalità della voce”).
La risposta più comune fra i cantanti non professionali è quella che definisce la proiezione come utilizzo dei risuonatori, di modo che il suono sia in essi amplificato e arricchito di componenti armoniche. Soltanto due di loro fa riferimento all’immagine “portare il suono avanti”, mentre due di loro non rispondono.
A livello logopedico, le limitazioni della proiezione corretta sono legati ad atteggiamenti di costrizione ed ingolatura (ipercinesia laringea, arretramento e contrattura della base linguale, mancato controllo dell’elevazione del velo, non conoscenza della gestione dinamica dei risuonatori secondo concetti di verticalità).
Cavità
Per il concetto di cavità, molti cantanti professionisti si riferiscono alla ricerca di ampiezza negli spazi faringolaringei. Talune impartizioni pedagogiche, tuttavia, appaiono risultare confusive: qualcuno parla infatti di ‘cupola’, termine che altri utilizzano nella ricerca di spazi nel tratto superiore di risonanza al passaggio di registro. Viene in genere intuita la componente di rinforzo degli armonici gravi dello spettro, indicata come portanza, scavo, rinforzo di armonici bassi, risvolto timbrico alternativo al rinforzo delle armoniche acute (“risonanze basse facciali”).
E’ bene invece marcare il fatto che neppure uno dei cantanti non professionali sa definire tale termine: ben sette persone non rispondono, mentre gli altri identificano il suono in ‘cavità’ con “le cavità di risonanza”.
A livello di valutazione strumentale, i rapporti tra ‘cavità’ e ‘punta’ possono essere indagati nel rapporto tra i parametri SPI (cavità) e VTI (punta) nel Vocaligramma e con l’analisi spettrografica.
In effetti il termine ‘cavità’ può avere diverse accezioni:
1) Teoria che stabilisce che il colore timbrico della voce è determinato dalla naturale frequenza dei risuonatori. La concentrazione di energia nello spettro acustico, tipica della “formante di canto” del cantante lirico, rimane costante indipendentemente dall’altezza tonale prodotta e viene riconosciuta percettivamente come emissione “impostata”.
2) Immagine pedagogica ricorrente per designare le necessità di ricerca di spazio ipofaringeo e vestibolare, con controllo della posizione della laringe, per rinforzare il suono con particolare esaltazione di armonici più gravi (in relazione alla vocale emessa). Dona più rotondità e corpo all’emissione per abbassamento del valore frequenziale delle formanti. Insieme alla maschera rappresenta una delle componenti di prevalente memorizzazione per il cantante per una equilibrata gestione dell’apparato di risonanza.
3) Tecniche di cavità sono anche dette le tecniche pedagogiche che puntano particolarmente l’attenzione al controllo dei risuonatori inferiori come le tecniche dette di “affondo”.
(continua nella II parte)