di Franco Fussi
Quando il cantante “attacca” un’aria, o inizia una frase, ha già mentalmente realizzato gli impulsi cerebrali necessari ad organizzare lo stato di tensione cordale, di pressione aerea sottoglottica e di atteggiamento delle cavità di risonanza, necessari a produrre il suono voluto. Per questo i maestri di canto amano suggerire di “pensare il suono” prima di produrlo e inducono a volte gli allievi ad una brevissima pausa di apnea dopo il rifornimento aereo per “preparare” il suono.
Tradizionalmente, si distinguono in fisiologia vocale tre tipi di attacchi, quello morbido e corretto, quello soffiato e quello brusco o colpo di glottide.
Il primo viene realizzato quando una modesta pressione sottoglottica si accoppia con una adduzione “dolce” e completa delle corde vocali; l’inizio della vibrazione cordale è allora in sincronia con l’inizio del passaggio dell’aria attraverso la glottide. Al contrario, nell’attacco soffiato, l’adduzione delle corde è (per motivi tecnici o patologici) incompleta, il flusso aereo inizia a transitare tra corde non completamente chiuse e la vibrazione cordale inizia quando il livello di pressione sottoglottica fornita supera un certo valore o quando la tensione di accollamento cordale aumenta. Percettivamente si ascolta, prima dell’inizio della sonorizzazione, un “fruscìo” espiratorio, come una “h” aspirata. In genere all’attacco soffiato, specie in condizioni patologiche, si accompagnano emissioni velate, “si sente aria nella voce”.
L’attacco di glottide è, invece, una modalità ipercinetica di inizio dell’emissione, in genere accompagnata da fonazione pressata, spinta, caratterizzata dal fatto che le corde vocali si adducono sulla linea mediana e vengono tenute accollate tra loro durante un momento di apnea chiusa (cioè sospensione del flusso aereo a corde avvicinate); ciò induce spesso una cooperazione alla tenuta anche da parte delle false corde, in vario grado. La conseguenza è che al rilascio improvviso della tensione adduttoria e all’aumento della pressione sottoglottica necessaria per iniziare la sonorizzazione, l’onda mucosa di scorrimento della corda vocale è sicuramente ampia e, almeno per i primi cicli vibratori, ad alto impatto con la controlaterale. Rachele Maragliano Mori la descrive metaforicamente “come se scattasse una molla”, “molto simile all’attacco e stacco deciso dell’arco dalla corda”, e segnala che “di questo genere di attacco alcuni cantanti si servono per imprescindibili necessità d’attacco drammatico, altri per ragioni patologiche. Va usato con grande cautelaŠBravi cantanti lo usano per lo staccato, trilli ed effetti di bravura ed i tedeschi lo praticano, leggerissimo, per distanziare la pronuncia di vocali a inizio parola dalla consonante di fine parola precedente”. Per facilitare l’apprendimento dell’attacco morbido i maestri ricorrono spesso all’attacco aspirato in cui la emissione della “h” prima della messa in vibrazione delle corde viene ridotta sempre più fino ad essere inudibile e quasi contemporanea alla sonorizzazione. Ma a volte succede che l’allievo rimanga ancorato ad una aspirazione troppo prolungata e magari finisca col non realizzare mai una completa chiusura glottica, con la conseguenza di suoni che danno sempre l’impressione di avere aria dentro, fino ad indurre il foniatra a diagnosticare una ipotonia cordale mentre invece il problema è solo tecnico.
Si è sempre molto discusso se la chiusura glottica e l’inizio dell suono debbano essere o meno preceduti da un flusso aereo udibile. In riferimento a questo, e partendo dalle indicazioni del Garcia, ci si è arrovellati a comprendere quale fosse il ruolo della plosiva glottica identificata dal Garcia come “colpo di glottide”, che nelle sue intenzioni voleva essere solo l’atteggiamento propedeutico a realizzare un corretto attacco morbido. Alcuni maestri di canto hanno creduto che Garcia consigliasse il vero colpo di glottide, inteso come attacco brusco, plosivo, in opposizione a quello aspirato, soffiato. Scrive il Klein che “nell’attacco vocale, l’intensità dell’azione della glottide dipende dalle circostanze; moltissimo dall’articolazione e intensità di emozione di chi si esprime. Un sensibile impeto glottideo, in certi casi, non è sconsigliabile: in realtà più mentale che reale, ma che si può percepire come se si facesse un leggerissimo colpo di tosse”.
Il vero “colpo di glottide”, in termini fisiologici, è invece il grado estremo di attacco brusco su emissioni di elevatà intensità in modalità ipercinetica, talora sfruttato occasionalmente per particolari effetti drammatici, specie in alcuni repertori, o meglio modi “veristi”, e comunque altamente abusivo per le corde vocali.
Esso viene annoverato tra le cause più frequenti di traumatismo cordale acuto (vero e proprio “colpo di frusta laringeo”) potendo dar luogo a lesioni delle corde vocali, spesso monolaterali, a lenta riparazione (stravasi emorragici, “strappi” del legamento vocale con organizzazione di cisti interne, “erniazioni” della mucosa di rivestimento con formazione di polipi, edemi settoriali). Il trauma sul bordo libero delle corde si verifica ogni volta che l’affrontamento cordale è violento, quindi non necessariamente solo nell’adduzione a scopo canoro, ma anche in manovre fisiologiche come il colpo di tosse o lo schiarire violentemente la voce o durante abusi vocali acuti nel parlato come nell’urlo effettuato in maniera ipercinetica, cioè senza “proiezione” del suono e corretto appoggio respiratorio.
L’”attacco di sotto”, detto anche “di portamento” o “di striscio”, consiste nell’attaccare partendo da una nota inferiore a quella dovuta, che viene successivamente messa rapidamente a fuoco. Ne parlava già Caccini dicendo che alcuni “nell’intonazione della prima voce, intonano una terza sotto, e alcuni altri detta prima nota nella propria corda sempre crescendola” e ritiene che la prima se diviene una modalità evidente e il cantante si trattiene in maniera troppo prolungata o sensibile nella terza sotto ne risulta una modalità d’attacco “piuttosto rincrescevole all’udito, e che per li principianti ella si dovesse usare di rado, e come più pellegrina, mi eleggerei in vece di essa la seconda del crescere la voce”.
Fisiologicamente l’attacco di sotto o di portamento è oggi riscontrabile in quelle tecniche particolarmente basate sull’appoggio laringeo e diaframmatico nella preparazione del suono, dove la laringe viene posta in posizione di abbassamento prima dell’emissione, alla ricerca del “corpo” del suono prima che della sua direzione (soprattuto nelle tecniche di cavità, ma non di rado anche tra i belcantisti): è come se il cantante si preoccupasse prima dello spessore della voce e successivamente della sua proiezione, prima della “portanza” e poi della “maschera”. In voci del passato ci è dato riconoscerlo, in maniera diversa, in cantanti quali Leyla Gencer, Veriano Luchetti, Mario Del Monaco.
Quando si parla di “attacco sulla consonante” (ed ovviamente si pensa a consonanti sonore, delle quali vengono specialmente usate la /l/ e la /r/) ci si riferisce, più che a una modalità particolare di iniziare un suono, ad un esercizio che, nel corso dei vocalizzi di studio, facilita la capacità di articolare senza perdere le posizioni “in maschera” o la pronta collocazione risonanziale del suono fin dall’attacco; cioè, un po’ al contrario di quel che accade con l’attacco di sotto, l’attenzione didattica è rivolta primariamente alla direzione del suono, alla sua focalità, alla sua brillantezza.
Nei vari orientamenti pedagogici possono essere comunque rilevate attitudini stilistiche e didattiche legate a preferenze nazionali per specifici tipi d’emissione.
Sorprendentemente, l’attacco caratteristico della scuola tedesca non è quello duro che ci si potrebbe aspettare considerando le caratteristiche fonologiche della lingua, ma piuttosto quello aspirato, secondo vari gradi di aspirazione e con un ruolo importante per l’addestramento del registro pieno e nello sviluppo delle dinamiche di intensità (“pianissimi”). Il cosiddetto “glottischlag” è allora riservato solo alla componente fonetica linguistica e non all’attacco sulle vocali. Solo tra gli aderenti al sostegno respiratorio secondo i dettami dello Stauprinzip, collegato alle tecniche eroiche della scuola tedesca, specie per la formazione degli Heldentenor, viene esercitato anche l’uso dell’attacco duro.
L’attacco ideale per la scuola italiana e francese evita sia l’aspirazione che il colpo di glottide, anche se in fase di apprendistato non pochi maestri inducono gli allievi ad una brevissima espirazione pre-attacco o raccomandano di pesare il meno possibile sulla prima sillaba dell’attacco e di appoggiarsi piuttosto sulla seconda.
Le scuole di derivazione anglosassone consigliano due distinte modalità per l’attacco: nella pratica corale e oratoriale è più frequente ascoltare un attacco piuttosto aspirato, specie nei cori di voci bianche; nel repertorio operistico un attacco più energico ma morbido.
Sebbene le esigenze stilistiche della letteratura vocale influenzino l’approccio all’attacco, ogni cantante è generalmente condizionato in un senso o nell’altro a seconda del tipo di formazione didattica; ad esempio, è infatti frequente ascoltare attacchi aspirati nei cantanti di lingua tedesca quando cantano Bach o il Verismo.
Si può dunque pensare che le preferenze insite nelle scuole siano dettate più da attitudini pedagogiche che non da considerazioni stilistiche, come qualche volta è lasciato credere.
Quando gli anni si fanno sentire, i modi abituali di attacco subiscono una accentuazione: pensiamo ad esempio agli attacchi soffiati dell’ultima Sutherland, dove la tenuta muscolare e la precisione dell’attacco vengono assicurati da una aspirazione a volte piuttosto evidente, in passato molto più controllata e fascinosa, o alcune durezze di Montserrat Caballè che, mentre anni fa donavano alla sua articolazione incisività d’accento, col passar del tempo hanno rivelato una certa asprezza o sgranatura nell’articolazione della parola, almeno nella prima ottava. Curioso quindi come certe peculiarità tecniche, che risultano caratteristiche particolari del “modo” fonatorio di un cantante in carriera, si evidenzino con connotazioni negative nel momento in cui l’impianto vocale cede ai segni del tempo.
Non è una novità il fatto che una delle dimostrazioni che un cantante sappia gestire a perfezione l’equilibrio tra appoggio e sostegno respiratorio, durante una intera frase musicale o un vocalizzo, è proprio l’arte di saper eseguire un filato perfetto. L’esecuzione di un buon filato è infatti la summa della gestione pneumofonica, l’equilibrio perfetto tra saper dosare il fiato e variare la tensione occorrente alle corde per mantenersi intonati. In particolare nella fase di ritorno, cioè durante il diminuendo. Chi sa più variare, così sapientemente quanto la Caballè, le dinamiche di intensità su una nota tenuta, mantenendo il suono costantemente in “posizione”? Non si pensi che si tratti di una tecnica particolare o segreta, dovrebbe essere “la” tecnica del canto, forse oggi merce rara, ma tant’è. Parimenti ci risulta non frequente sentire passaggi insensibili dal registro pieno al medio o al falsetto, specie nei tenori, (bisogna allora ascoltare Pavarotti, Kraus, Sabbatini, Bjoerling, ecc.), senza perdere le posizioni o spoggiare o stringere, o attaccare pianissimi che non siano “falsi” e poi rinforzarli in voce piena, ascoltare insomma le variazioni dinamiche di intensità che costruiscono una interpretazione senza doversi accorgere del difetto tecnico o della difficoltà d’esecuzione.